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  • 13 Ottobre 2025

KPI che contano per il titolare: come leggerli nel cruscotto

I KPI sono un argomento spesso spinoso e poco chiaro. In un articolo precedente abbiamo approfondito la loro utilità e il perché è importante usarli. Ma quali sono utili per un’azienda?

KPI: cosa sono (in breve)

Un KPI è una scorciatoia affidabile tra ciò che l’azienda vuole ottenere e ciò che le persone fanno ogni giorno. È una misura sintetica, aggiornata in tempi utili e collegata a una leva concreta: se cambia, qualcuno sa cosa fare. Nel manifatturiero la materia prima del KPI nasce da sistemi diversi—MES, schedulazione, ERP, qualità, contabilità industriale—che spesso parlano linguaggi incompatibili. Qui ci concentriamo sul senso pratico degli indicatori; per una trattazione più ampia su definizioni, tipologie, errori frequenti e metodi di progettazione dei KPI rimandiamo all’articolo di approfondimento dedicato alla costruzione del sistema di misurazione in fabbrica.

KPI operativi

Quando si entra in reparto tutto sembra urgente. Una dashboard ben progettata restituisce priorità chiare. La puntualità di consegna, ad esempio, racconta se stiamo rispettando la promessa fatta al cliente, ma dice anche dove si inceppa la catena.

L’OEE è lo specchio dell’efficienza reale. Non interessa il numero record del mese, ma la decomposizione delle perdite: fermi, microfermi, rallentamenti, scarti. Il cruscotto evidenzia dove si disperde valore e su quale turno, ordine o operatore si concentra il fenomeno. Alcune aziende introducono soglie semplici—sotto il 60% si indaga subito, tra 60 e 75% si lavora sulla stabilità, oltre il 75% si consolida—ma la taratura va fatta sul contesto. L’importante è che, di fronte a un calo, l’azione sia quasi automatica: manutenzione preventiva, addestramento mirato, standard di cambio formato più snelli.

Il lead time, dal punto di vista del cliente, è la distanza tra la promessa e la realtà. Disporre di un tempo medio è utile, ma ancora più utile è capire dove passa la maggior parte delle ore: attese, code, esternalizzazioni. Nelle viste Iriday il tempo totale si scompone per fase; è frequente scoprire che non è la lavorazione a durare troppo, ma il WIP dimenticato tra un reparto e l’altro o la mancanza di un componente marginale. Qui si sblocca il vero miglioramento: rivedere lotti, introdurre kanban interni, impostare alert sui materiali critici prima che l’ordine si fermi.

Infine scarti e rilavorazioni chiudono il cerchio. Non è solo un tema di qualità, ma di costo e reputazione. Un tasso costante di non conformità su una famiglia spesso nasconde istruzioni poco chiare o attrezzaggi ripetibili solo dai “veterani”. Collegando le non conformità alle immagini, ai lotti e alle cause frequenti, il cruscotto rende evidente dove agire: piani di controllo mirati, digitalizzazione delle istruzioni operative con punti di attenzione, blocco automatico del lotto sospetto prima che le non conformità finiscano dal cliente.

La lettura integrata è semplice: ogni mattina si osservano OEE sulle macchine vincolo, ordini a rischio puntualità nelle prossime 48 ore, lead time medio per famiglia e andamento degli scarti degli ultimi sette giorni. Si interviene sul collo di bottiglia che impatta la puntualità, si stabilizza la macchina critica e, con il fiato corto tolto di mezzo, si lavora alla riduzione strutturale degli scarti.

KPI amministrativi

I numeri “di fabbrica” trovano senso quando si intrecciano con quelli economici. Il margine per ordine o cliente, ad esempio, cambia radicalmente se la misurazione dei tempi è affidabile. Quando Iriday unisce consuntivi dal MES, costi orari, materiali e terzisti, emergono storie utili: commesse puntuali ma con extra‑ore che rosicchiano il margine, lavorazioni rapidissime ma prezzate troppo basse, prodotti apparentemente profittevoli che crollano quando si imputano scarti e rilavorazioni. La discussione giusta non è “quanto abbiamo guadagnato”, ma “quali condizioni ci portano sistematicamente a guadagnare o a perdere”. Da qui discendono decisioni concrete: revisione dei listini, soglie di quantità minima economica, razionalizzazione delle varianti povere.

Il costo del non‑qualità rende visibile ciò che spesso resta sparso tra centri di costo. Riunire scarti, rilavorazioni, resi, fermi e penali in un’unica vista mensile cambia il tono delle riunioni: si capisce se conviene intervenire su un fornitore o su una fase critica. Anche una piccola riduzione stabile ha effetti superiori a molte iniziative “eroiche”: meno rilavorazioni significa capacità liberata, lead time più corto, clienti più sereni e meno contestazioni a fine mese.

WIP e rotazione parlano di liquidità tanto quanto di efficienza. Troppo lavoro in corso immobilizza cassa e nasconde inefficienze. Nel cruscotto è utile tenere una mappa per reparto con evidenza degli ordini fermi oltre soglia: quando il WIP scende per scelta e non per casualità, la fabbrica respira e il lead time diventa più prevedibile. Anche la schedulazione contribuisce al conto economico: misurare le ore perse per attese materiali, disegni non aggiornati o cambi frequenti consente di attribuire un costo alla disorganizzazione. È un indicatore “ponte”, a cavallo tra operations e amministrazione, che rende chiaro quanto paghiamo ogni settimana per non avere distinte pulite o librerie di set‑up condivise.

Infine c’è il tema degli incassi. Il DSO non è solo faccenda dell’amministrazione: ritardi di consegna e contestazioni di qualità lo allungano fisiologicamente. Collegare aging, fidi e penali alle performance operative aiuta a capire perché certi clienti pagano tardi e come cambiano i comportamenti quando la puntualità migliora. In molti casi bastano conferme d’ordine realistiche, milestone di fatturazione e un anticipo sui materiali critici per riportare l’equilibrio senza irrigidire i rapporti commerciali.

Per rendere tutto gestibile, funziona una breve riunione settimanale con le stesse tre domande: quali commesse hanno creato o eroso margine e perché; dove il WIP è fuori soglia e cosa lo sblocca; quali clienti stanno peggiorando in DSO o penali e quale azione mettiamo in campo. Il cruscotto tiene traccia delle decisioni e dei responsabili, così la settimana successiva si misura l’effetto, non l’intenzione.

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